martedì 22 novembre 2011

Il blog dalle finestre che ridono

Arte e religione sono un connubio macabro destinato ad avere un successo enorme nei secoli. Cosa credete, che prima della nascita del cinema o della letteratura horror questo genere non esistesse?
Dimenticate forse i riti magici con sacrifici di sangue delle tribù tribali? O la lunga sfilza di racconti popolari tramandati di generazione in generazione per terrorizzare i bambini e suscitare muto rispetto negli adulti? Ma sicuramente le nozze perfette sono state quelle tra l'arte e la religione cristiana.
Caravaggio, La decollazione del Battista

A partire dalle enormi cattedrali in pietra con scene di mostri infernali scolpite nei capitelli, per passare ad affreschi con intere storie di martiri, crocefissi, scene del Vecchio e Nuovo Testamento che i pittori facevano a gara a rendere quanto più verosimili e impressionanti possibile. L'arte si è alimentata del macabro che le veniva dalla religione, dalle guerre, dai fatti quotidiani.
E' probabilmente su questa linea che si è mosso Pupi Avati nel 1976 quando ha realizzato un thriller/horror che poi è diventato un cult del genere: "La casa dalle finestre che ridono".

Dopo lo spaccato sull'Italia del sud con gli omicidi di Accendura, mi sembrava equo citare la follia e l'omertà di un paese in provincia di Ferrara, dove si ambienta la storia ricca di suspance ma ai limiti del possibile di Avati. La maestria del regista ha fatto sì che questa vicenda, per quanto inverosimile rispetto all'altra citata, tenesse lo spettatore incollato allo schermo fino alla fine, dove si snoda un epilogo degno della storia ingarbugliata e complessa con un colpo di scena che scuote anche il più critico appassionato di horror. Senza contare che il finale, se tale si può chiamare, è lasciato allo spettatore stesso, dando quel tocco di originalità in più.
La storia ha come centro di tutto l'arte. Viene scoperto un affresco in una chiesa, di un pittore locale morto, il pittore delle agonie, così chiamato perchè aveva l'abitudine di ritrarre soggetti in punto di morte.

A restaurare il dipinto c'è un uomo esterno alla comunità di paese, chiamato su raccomandazione di un amico con vistosi problemi di esaurimento nervoso e paranoia. Il restauratore si troverà a dover sbrogliare una fitta rete di misteri, senza trovare appoggio negli abitanti del luogo, che omertosi gli rifiutano persino aiuto mentre questi è in fin di vita. Il pittore della agonie, con l'aiuto delle due sorelle, ritrae dal vivo prima cadaveri, poi malati terminali ed infine gli omicidi stessi delle due donne, che per amore del fratellino e dell'arte stessa vogliono rendergli i modelli sempre più realistici.
Il giorno stesso in cui ho visto questo film una mia collega mi ha postato su Facebook un articolo su un'"artista" che uccide gli animali in nome dell'arte, chiedendomi cosa ne pensassi.
Bèh, cosa posso dire? La storia si ripete e ciò che guardiamo nei film spesso e volentieri è meno peggio di ciò che ci circonda nella realtà.
Ps. Perdonatemi la vena da critica moralista

1 commento:

  1. Bhe diciamo che l'arte e la relgione sono due cose completamente diverse. La religione è schiava dell'umanità e viceversa, l'arte invece è pura libertà:)

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